Madama Butterfly al Teatro Bellini di Catania
L’opera di G. Puccini scalda il pubblico catanese alla prima dell’11 maggio 2019
E’ ancora in scena, fino al 17 maggio 2019, al Teatro Massimo Bellini di Catania “Madame Butterfly” di Giacomo Puccini. La struggente storia d’amore fra l’elegante Cio-Cio-San, eroina dell’amore incondizionato, e il B.F. Pinkerton, giovane ufficiale della marina americana, eroe della cafonaggine maschile. Puccini racconta l’incontro/scontro fra due culture diametralmente opposte: un’opera intensa e importante che Catania ripropone con un nuovo allestimento scenico. Il sipario si apre su un ambiente di chiaro gusto nipponico, essenziale e con un doppio sipario rigido a canne di bambù, usato come delimitazione spaziale fra la casa di Cio-Cio-San e il suo giardino . Una scalinata che taglia trasversalmente il resto del palcoscenico è l’idea di Alfredo Corno con il quale egli completa l’intera scena per tutta la durata dell’opera. E’ coerente con lo spirito dello stile giapponese sia per gli ambienti che per i costumi. Tradizionale. Il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ci riporta davvero indietro nel tempo. Oggi la delicatezza dei sentimenti espressi con spontanea genuinità da parte di Madame Butterfly offre una tenerezza esasperata che prepara lo spettatore al successivo e imminente dramma femminile. Puccini era stato letteralmente catturato da questo soggetto teatrale. E, nel contempo, il mondo della letteratura e della borghesia si lasciava affascinare dal misterioso Giappone, così distante e ideologicamente diverso dall’Occidente di ieri e di oggi.
Tutta la partitura dell’Opera si contraddistingue per quei temi assolutamente originali dal colorito orientaleggiante così largamente conosciuti che la conduzione di Gianna Fratta ha saputo valorizzare in ogni suo aspetto. Forse il pubblico è stato sorpreso dall’improvviso giungere della celebre aria “Un bel dì vedremo”. Che, forse, potesse risuonare con un più ampio respiro era quello che ci si sarebbe aspettati.
Giovanni Guagliardo, conte Sharpless, si presenta fin dall’inizio, nel duetto con Pinkerton, con un atteggiamento sicuro sulla scena e un bel timbro vocale fino alla fine dell’opera. Alessandro Fantoni, interpreta un Pinkerton convincente per la resa canora, entusiasta nella ballata yankee e in tutto il resto dell’opera. Un atteggiamento teatrale da “seduttore” più sfacciato non avrebbe, però, guastato al personaggio. Anche la regia avrebbe potuto suggerire un atteggiamento che manifestasse in modo più diretto la malafede dell’ufficiale americano. Per il resto sotto le direttive del regista Lino Privitera abbiamo visto una Cio-Cio-San impeccabile nella resa scenica di una giovane donna dell’estremo Oriente in cui ogni movenza del corpo assume un ben preciso significato.
Eunhee Kim è stata, nella cura di questo aspetto, davvero impeccabile. Solo all’inizio del primo atto il timbro della cantante coreana è sembrato quasi incerto con un forte vibrato. Ma, dopo aver “rotto il ghiaccio” è stata in grado di commuovere tutto il pubblico con un voce calda e pastosa. Importante la presenza di Suzuki interpretata da Ilaria Ribezzi la cui voce si sposava benissimo con gli armoniosi toni pucciniani. Divertente ed efficace la presenza di Gianluca Failla nel doppio ruolo del principe Yamadori e l’ufficiale del registro. Una voce forte e possente e una bella presenza scenica. Efficacemente minacciosa la figura di Francesco Palmieri nel ruolo dello zio Bonzo, la cui voce però si è, a tratti, difficilmente distinta dai forti dell’orchestra. Hanno completato il cast Enrico Zara in Goro, Salvo Di Salvo nel ruolo del commissario imperiale e Sabrina Messina nel ruolo di Kate Pinkerton.
Una menzione particolare merita il corpo di ballo che ha, ideologicamente, accompagnato il suicidio di Cio-Cio-San con passi lenti e indicativi della scrittura giapponese con cui era decorato il loro torace. Il coro, diretto da Luigi Petrozziello, e l’orchestra del Teatro hanno ben interpretato il gusto esotico dell’opera pucciniana. Forse è mancato quel fugace rapimento che il celebre coro a bocca chiusa accompagna e racconta l’attesa della nave “Abramo Lincoln”. Un gioco di luci che arriva con le sue tinte scure, solo alla fine di tutto, quando il nero del dramma estremo prende il posto allo struggente addio di una madre al proprio bambino.
Donata Musumeci
Photo©GiacomoOrlando
La recensione si riferisce alla prima dell’11 Maggio 2019